C’è un solo modo , a parer mio, per il PD di uscire dall’angolo
in cui si è cacciato e in cui rischia di cacciare tutto il Paese: sfidare il
movimento 5 stelle sul loro stesso terreno di gioco.
Bersani dichiari pubblicamente , ma prima al Capo dello Stato,
per correttezza istituzionale, di essere pronto a votare la fiducia in
Parlamento a un governo 5 stelle, lasciandosi la libertà di valutare volta per
volta, se votare a favore o contro quelle leggi che i 5 stelle proporranno al
Parlamento.
Si dia cioè, per il bene sommo, oltre che comune , dell’Italia,
ai 5 Stelle l’onere della prova senza pregiudizi.
Unica condizione non negoziabile, dovrebbe essere quella che
a capo del governo 5 stelle, in qualità di Presidente del Consiglio, debba
esserci Grillo oppure Casaleggio.
In caso di rifiuto da parte dei due, sarebbe chiaro a tutti
che sono solo due milionari che “giocano” alla rivoluzione sulla pelle di
milioni di creduloni (giovani disoccupati e anziani in fila alla “Caritas”).
In caso di rifiuto da parte dei due, per coerenza, il premio
Nobel Dario Fo’e il “Profeta” Celentano, dovrebbero chiedere scusa a tutti gli
italiani per il loro “endorsement” ammettendo di essere stati turlupinati nonostante le loro qualità
morali-intellettuali.
Poi, in caso di vile rifiuto da parte dei due, PD , PDL e
Monti, potrebbero convenire, sempre per il bene sommo dell’Italia, di lasciare
in vita l’attuale Governo Monti per 10-12 mesi al massimo cercando e trovando
l’accordo solo su 4 punti essenziali:
1.
Elezione del nuovo Capo dello Stato
2.
Riforma della legge elettorale
3.
Dimezzamento dei parlamentari e dei costi della
politica
4.
Dimezzamento, almeno, e a breve, del debito
della Pubblica Amministrazione nei confronti delle aziende creditrici in modo
da favorire un po’ la crescita.
Si lascino da parte altre riforme o leggi
del tipo: conflitto di interessi, soppressione delle Province e via dicendo.
Un anno in più senza queste leggi, non
cambierebbe il destino dell’Italia.
Cambierebbe , invece e per sempre, almeno
in Italia, il destino dei populismi.
Geppino Ambrosino